Partirono in 9 quella mattina, dalla chiesetta alpina alla volta della grotta di S. Michele Arcangelo, nella pineta verde che barda come una gonnella, i fianchi della grande Madre Serra. Non c’era alcuna impresa da compiere, non c’era da salire troppo in alto, solo poche centinaia di metri, per portare a termine una missione semplice e significativa ad un tempo.
Negli zaini portavano, oltre alle libagioni di cui in montagna non si può andare privi, 12 statuette del presepe da allestire in quella grotta e una stella cometa in metallo da affiggere sulla roccia all’entrata. Raccolsero muschio e pigne secche, che nella zona abbondano in ogni dove; accatastarono pietre e tronchi di pino caduti a terra, per preparare al meglio la scena.
Il pastore schivo un po’ in disparte con le sue pecore, l’angelo che annuncia la venuta del messia, appollaiato come un aquila reale sulla mensola là in alto, San Giuseppe e la Madonna uno di fronte all’altra in una passione composta, il bue e l’asinello accovacciati dietro alla mangiatoia, i tre re magi un poco più distanti, in una venerazione ancora lontana.
Una preghiera, un sorso di vino paesano, prosciutto, salsicce e formaggio nostrani, il segno della croce e la discesa a valle in una manciata di minuti.Qualche tempo dopo, il giorno di natale, tornarono in quella grotta per deporre come tradizione vuole, il Bambinello al centro della scena, con lo sguardo profondo di un re e le braccia aperte di un fratello.Da un lato, sopra una catasta di frasche seccate, una piccola “cottora” legata ad una catena, penzola dalla roccia, a rappresentare il focolare domestico, fonte di sostentamento della famiglia e centro di aggregazione sociale. Ed ancora preghiere, canti, silenzi e brindisi, prima di ridiscendere verso valle ad immergersi nuovamente nelle nebbie del lago. Per giorni quella grotta è stata meta delle camminate salutari di chi ha voluto vivere la gioia del natale in solitaria armonia, lontano dalle luci e dai rumori del paese rivestito a festa. Per notti quella caverna è stata testimone di passaggi di volpi, lepri, cinghiali, caprioli e lupi, tutti impegnati nella lotta legittima per la sopravvivenza, incuranti della festa e del natale, perché comandati da una forza naturale che spazio non offre al misticismo.

Infine, il giorno dell’epifania, a quasi un mese di distanza, altre persone sono tornate lassù, attraversando la pancia svestita della Madre Serra, per riportare a valle quelle statuine e condurle di nuovo alla chiesetta alpina. Una piccola folla, infreddolita ed affaticata dai passi mossi fino al Colle Felicetta, era lì ad attenderle, uomini e donne sorridenti di verità nei loro scialli e cappelli.

Di certo non mancavano gli alpini con i loro cappelli pennati, di un verde sempre più sbiadito, visto che oramai, oltre alla naia, è finita per i giovani la voglia di confrontarsi con la forza reale e leale della natura, mentre sempre più affollati sono i bar, i centri commerciali, le piazze, le strade, i mercati e gli abitacoli delle automobili.

Le prove dei canti da fare durante la messa con l’accompagnamento della fisarmonica di Francesco, il suono autentico della campanella scossa dagli strattoni energici di Achille, il sibilo dell’armonica a bocca soffiata da Riccardo, l’arrivo del parroco giovane e colorato, segno anche questo del progressivo abbandono di una missione e di una fede. La funzione recitata in un italiano incerto ma pacato, nella piccola chiesetta di S. Leonardo, il bacio al bambinello e le patate di Antonio, lessate alla “cottora” col peperoncino e, per i più fortunati, un pezzetto di ventresca, servita per insaporire la brodaglia. Un bicchiere di vin brulé e, per i pochi astemi, un tè caldo; gli zuccherini di Michelangelo e poi ancora canti, racconti, risate, ricordi, progetti e promesse.

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